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autore
brano
 
Cicerone
Della divinazione, II, 14
 
originale
 
14 Atqui ne illa quidem divinantis esse dicebas, ventos aut imbres impendentes quibusdam praesentire signis (in quo nostra quaedam Aratea memoriter a te pronuntiata sunt) etsi haec ipsa fortuita sunt: plerumque enim, non semper eveniunt. Quae est igitur aut ubi versatur fortuitarum rerum praesensio, quam divinationem vocas? Quae enim praesentiri aut arte aut ratione aut usu aut coniectura possunt, ea non divinis tribuenda putas, sed peritis. Ita relinquitur ut ea fortuita divinari possint quae nulla nec arte nec sapientia provideri possunt: ut, si quis M. Marcellum illum, qui ter consul fuit, multis annis ante dixisset naufragio esse periturum, divinasset profecto: nulla enim arte alia id nec sapientia scire potuisset. Talium ergo rerum, quae in fortuna positae sunt, praesensio divinatio est.
 
traduzione
 
14 Eppure tu dicevi che non appartiene alle prerogative del divinatore nemmeno il prevedere, in base a certi indizi, l'imminenza dei venti o delle piogge (e a questo proposito hai recitato, mostrando buona memoria, alcuni brani dei miei Aratea),sebbene anche tali eventi siano casuali: si avverano, difatti, per lo pi?, non sempre. Qual ?, dunque, o in che campo si esplica il presentimento degli eventi casuali, che tu chiami divinazione? Tutto ci? che si pu? prevedere con la pratica o col ragionamento o con l'esperienza o con l'ipotesi ritieni di doverlo attribuire non agli indovini, ma agli esperti. Non rimane, quindi, alla divinazione nient'altro che la profezia di quegli eventi fortuiti che non possono essere preveduti con alcuna pratica o con alcuna scienza. Per esempio, se qualcuno avesse detto con molti anni di anticipo che Marco Marcello, quegli che fu console per tre volte, sarebbe perito in un naufragio avrebbe senza dubbio compiuto un atto di divinazione: ch? non lo avrebbe potuto sapere per mezzo di alcun'altra pratica o scienza. La divinazione ? dunque il presentimento di eventi di questo genere, dipendenti solamente dalla sorte.
 

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